Liquidazione del patrimonio possibile anche in caso di atto dispositivo, purché non sia in frode ai creditori

Con provvedimento del 18 gennaio 2020, emesso dal dottor Pietricola del Tribunale di Latina, veniva disposta apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, con liquidatore nominato presso l’ OCC SOS sovraindebitamento città di Lenola, confermato dal tribunale, l’avvocato Cira Di Feo.

La peculiarità dell’apertura di questa procedura di liquidazione risiede nel fatto, che l’apertura sia stata autorizzata nonostante una donazione.
Ai sensi del disposto normativo, nel caso in cui siano presenti atti in frode ai creditori, non è possibile procedere all’apertura della liquidazione del patrimonio poiché viene meno il requisito della meritevolezza.

In questo caso, il giudice, valutata la relazione del gestore e liquidatore appurava che la donazione fosse stata fatta nei 5 anni antecedenti il deposito dell’istanza di liquidazione, e nei confronti di un affine. Inoltre, il giudicante valutava tra gli allegati oltre che l’atto di donazione, anche la perizia redatta da CTP, dalla quale si evinceva che il valore del terreno donato fosse esiguo. Da tale valutazione, discendeva la conseguenza che stante la esiguità della somma e soprattutto un adeguato piano di ristoro per i creditori, la donazione non rappresentasse un atto in frode ai creditori.

Non solo, sulla base della sentenza del tribunale di Benevento del 23 aprile 2019, il giudicante chiariva che sulla base della documentazione presentata, fosse possibile evincere la mancanza del carattere fraudolento, ossia della dolosa preordinazione alla commissione dell’atto in frode ai creditori, autorizzando la liquidazione del patrimonio.

Tale provvedimento richiama l’attenzione dei professionisti che operano nel settore, affinché operino le giuste valutazioni e non si fermino ad un concetto asettico di meritevolezza. Le disposizioni normative vanno adattate al caso concreto, non partendo dalla disposizione in astratto, senza considerare l’applicazione della norma nel concreto, come troppo spesso accade.

Indubbiamente, va valutato che il ruolo del gestore della crisi e del liquidatore del patrimonio non può essere ricondotto al ruolo del curatore fallimentare, perché lo scopo dell’azione è totalmente differente.
È stato in più occasioni evidenziato,infatti, che il gestore della crisi ha la funzione di tutelare gli interessi del debitore e di assicurare un adeguato piano di ristoro in favore dei creditori, secondo un certo equilibrio.

Gestire un piano del consumatore, un accordo con i creditori o una liquidazione del patrimonio non significa semplicemente riportare numeri e atti giudiziari, ma implica un contatto diretto col debitore e con le sue problematiche, altrimenti la riforma della crisi da sovraindebitamento perde completamente la sua ragione d’essere.

L’atteggiamento fino ad oggi in più occasioni si è avuto, da parte di vari professionisti di mettere da parte l’avvocatura come missione, non sempre è adatto qualora si intenda gestire come professionista la crisi da sovraindebitamento.

Di certo, ciò un significa che il gestore non debba essere pagato, poiché il gestore e il liquidatore, oltre a beneficiare della tutela di legge, vedono tutelati i propri interessi nell’ambito della procedura, anche attraverso la liquidazione dei propri onorari che viene riconosciuta dal giudice. Al tempo stesso, gli avvocati non dovrebbero affermare di non aver fiducia in questo strumento legislativo che esiste, e va attuato.

Ovviamente, ciascuno ha il proprio punto di vista.

La fiducia nella risoluzione alternativa delle controversie in tutte le sue forme e la scelta di affiancare quelli che secondo l’attuale società sono i vinti, non sempre è una scelta per i perdenti o per di Don Chisciotte, ma spesso è la scelta di chi ha più forza e crede di più nei propri valori e nei propri obiettivi, e soprattutto nella propria Mission.

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