ESDEBITAZIONE DEL SOVRAINDEBITATO INCAPIENTE: PRIMO PROVVEDIMENTO OCC DI LATINA, GESTORE DELLA CRISI AVV. CIRA DI FEO.

IL DATO NORMATIVO – DEBITORE INCAPIENTE

Il nuovo art. 283 CCII, come da D.Lgs 147/2020 offre una nuova fattispecie di soluzione della crisi da debiti, anche in favore dei soggetti cosiddetti incapienti, ossia persone fisiche meritevoli che indebitatesi, non riescano ad offrire alcunché ai creditori, nemmeno in futuro.

L’art. 283 del codice della crisi e della insolvenza statuisce:

  • Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati.
  • La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 deve essere condotta su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159.
  • La domanda di esdebitazione è presentata tramite l’OCC al giudice competente, unitamente alla seguente documentazione:
  • a) l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute;
  • b) l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni;
  • c) la copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
  • d) l’indicazione degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo familiare.
  • Alla domanda deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’OCC, che comprende:
  • a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni;
  • b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;
  • c) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
  • d) la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.
  • L’OCC, nella relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l’importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita; a tal fine si ritiene idonea una quantificazione non inferiore a quella indicata al comma 2.
  • I compensi dell’OCC sono ridotti della metà.
  • Il giudice, assunte le informazioni ritenute utili, valutata la meritevolezza del debitore e verificata, a tal fine, l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento, concede con decreto l’esdebitazione, indicando le modalità e il termine entro il quale il debitore deve presentare, a pena di revoca del beneficio, ove positiva, la dichiarazione annuale relativa alle sopravvenienze rilevanti ai sensi dei commi 1 e 2.
  • Il decreto è comunicato al debitore e ai creditori, i quali possono proporre opposizione nel termine di trenta giorni. Decorsi trenta giorni dall’ultima delle comunicazioni, il giudice, instaurato nelle forme ritenute piu’ opportune il contraddittorio tra i creditori opponenti ed il debitore, conferma o revoca il decreto. La decisione è soggetta a reclamo ai sensi dell’articolo 50.
  • L’OCC, nei quattro anni successivi al deposito del decreto che concede l’esdebitazione, vigila sulla tempestività del deposito della dichiarazione di cui al comma 7 e, se il giudice ne fa richiesta, compie le verifiche necessarie per accertare l’esistenza di sopravvenienze rilevanti ai sensi dei commi 1 e 2.

DEBITORE INCAPIENTE: REQUISITI

Trattasi di una rilevante novità introdotta in materia di sovraindebitamento, di recente, che consente ai debitori meritevoli, di ottenere il beneficio dell’esdebitazione anche quando essi non siano in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, tenuto ovviamente conto della prevalente necessità di assicurare il mantenimento della famiglia. Ne rileva che esdebitato può benissimo essere rappresentato da un soggetto fisico titolare di uno stipendio minimo, che qualora dovesse onorare tutta la propria debitoria, non sarebbe in grado di assicurare la sopravvivenza della propria famiglia.

Il debitore non deve essere titolare di beni immobili e non deve averne ceduto nell’ultimo quinquennio.

Lo scopo della norma – che prende atto della esistenza, anche a livello europeo, di una larga fascia di soggetti qualificabili come sovraindebitati – è offrire una seconda possibilità ai soggetti sovraindebitati che, diversamente, non avrebbero la possibilità di liberarsi dai debiti e soprattutto di sopravvivere col proprio nucleo familiare, specie in un periodo economico come quello attuale.

Il beneficio è straordinario in quanto può essere concesso, sulle predette basi, sola per una volta ed è inoltre mitigato dalla persistenza di un obbligo di pagamento dei debiti ove entro il quadriennio dall’esdebitazione sopravvengano rilevanti utilità – diverse dai finanziamenti ricevuti – tali da consentire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. Utilità potrebbero essere beni in eredità o somme di denaro, quali ad esempio anche il cosiddetto TFR.

Ai fini della valutazione di rilevanza delle sopravvenienze, da calcolarsi su base annua, vanno detratte le spese occorrenti per la produzione del reddito nonché quelle necessarie al mantenimento del debitore e della sua famiglia, che ex lege vengono calcolate in misura pari al doppio dell’indice ISEE.

COME ACCEDERE ALLA PROCEDURA

La domanda di esdebitazione è presentata dinanzi l’Organismo della Composizione della Crisi da sovraindebitamento (i cui compensi sono tuttavia ridotti della metà) congiuntamente alla documentazione necessaria ad individuare i creditori e l’ammontare dei crediti, gli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel biennio, i redditi dichiarati negli ultimi tre anni, tutte le entrate del debitore e del nucleo familiare.

PROCEDURA PER OTTENERE LA ESDEBITAZIONE

Il gestore della crisi nominato dall’Occ predispone una relazione, che verrà depositata all’attenzione del giudice, nonché evidenzia gli elementi idonei a valutare la meritevolezza del debitore sotto il profilo delle cause dell’indebitamento, della diligenza impiegata nell’assumere obbligazioni e delle ragioni che hanno comportato l’incapacità ad adempierle.

Tiene conto, altresì, della corretta valutazione del merito creditizio del debitore da parte dell’eventuale finanziatore – considerato anche il carico di spese per il mantenimento della famiglia, sempre calcolato su base ISEE – trattandosi di elemento utile per valutare se il debitore sia stato indotto a sopravvalutare le sue capacità di adempimento.

Il Giudice, ricevuto il ricorso introduttivo e la relazione depositati dal legale del debitore, valuta la sussistenza della meritevolezza e l’insussistenza di atti di frode, ovvero di dolo o colpa grave nell’indebitamento e se del caso emette provvedimento di esdebitazione.

Nel provvedimento il Giudice indicherà con quali modalità e in quale termine il debitore dovrà presentare, a pena di perdita del beneficio concesso, la dichiarazione annuale nel caso in cui intervengano sopravvenienze rilevanti nel senso già indicato.

Il decreto è comunicato ai creditori che possono proporre reclamo motivato.

PROVVEDIMENTO DI INCAPIENZA – TRIBUNALE DI LATINA – GESTORE DELLA CRISI AVV. CIRA DI FEO

Con provvedimento del 23.9.2021 veniva emesso dal Tribunale di Latina, nella figura del dr. Marco Pietricola, provvedimento di esdebitazione sulla base della relazione prodotta dal gestore della crisi, avvocato Cira Di Feo in favore di un indebitato, difeso dagli avv. Giuseppe Valenti e Andrea Galli.

Sulla base delle informazioni acquisite dalla documentazione depositata dal debitore e dai suoi legali, il gestore rilevava la situazione debitoria, la mancanza di patrimonio, la capacità reddituale del nucleo familiare e riteneva percorribile la incapienza del debitore.

Le entrate mensili, frutto della unica fonte di reddito, infatti, non consentivano il soddisfacimento dei creditori, ma unicamente di onorare il credito vantato dalla ex coniuge a titolo di mantenimento, il cui importo, pro quota dello stipendio, ha carattere impignorabile.

Il residuo del reddito era tale da consentire, unicamente, la sopravvivenza del nucleo familiare.  

Il gestore, nella propria relazione, attraverso l’analisi delle visure delle centrali Crif, Cr, ctc e dei cud degli anni precedenti, rilevava il rapporto in ordine alla meritevolezza del debitore e, sulla base dei medesimi dati individuava la condotta tenuta dagli istituti finanziari che, all’atto di erogazione del credito, non avevano tenuto conto sia dello stato di indebitamento che del reddito minimo del debitore, delineandosi una incauta concessione del credito, valutabile ai sensi dell’art. 69 del codice della crisi e della insolvenza e dell’art. 14 quardieces  : “Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124-bis del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, non puo’ presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, anche se dissenziente, ne’ far valere cause di inammissibilita’ che non derivino da comportamenti dolosi del debitore”.

La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 dell’art. 14 quardiecies della legge 3.2012 veniva condotta su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in
misura pari all’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà, moltiplicato per un
parametro corrispondente al numero dei componenti del nucleo familiare della scala di
equivalenza dell’ISEE prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 5 dicembre 2013, n. 159 e sarà onere del gestore vigilare in tal senso.

Il gestore riteneva di poter richiedere l’apertura della procedura di esdebitazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 283 Codice della Crise e della Insolvenza, e che il giudice, previa le verifiche di rito, concedesse con decreto l’esdebitazione, indicando le modalita’ e il termine entro il quale il debitore avrebbe dovuto presentare, a pena di revoca del beneficio, ove positiva, la dichiarazione annuale relativa alle sopravvenienze rilevanti ai sensi dei commi 1 e 2. Il gestore, inoltre, richiedeva la sospensione della esecuzione mobiliare presso terzi ai danni del debitore, nonché chiedeva che il giudice volesse dichiarare la improcedibilità e la nullità di tutte le esecuzioni mobiliari, immobiliari, presso terzi avviate ed avviande e notificande nel corso del quadriennio e a far data dall’apertura della procedura.

Il provvedimento del giudice faceva seguito alle richieste del gestore della crisi e al debitore veniva concessa la esdebitazione, col vincolo della verifica nel quadrienno successivo, in ordine alla situazione economica, patrimoniale, reddituale e di meritevolezza.

Indubbiamente, tale nuovo strumento previsto dalla legge 3.2012 rappresenta un elemento di novità e soprattutto una via di uscita per quanti, a causa della diminuzione del reddito, della perdita di lavoro, di malattie o altre situazioni particolarmente delicate.

L’utilizzo di tale strumento è in fase di avvio e, ad oggi, pochi sono in tal senso i provvedimenti emessi dai Tribunali, per cui, occorrerà comprendere quello che sarà l’approccio da parte sia degli organismi della composizione della crisi che dalla magistratura.

Di certo, in un momento economico come quello attuale, tale strumento assume rilevanza fondamentale allo scopo di aiutare i soggetti indebitati non per propria colpa e che, in considerazione di tale elemento, non siano condannati a vivere una vita non dignitosa non potendo onorare i propri debiti e quindi anche ad essere privati di taluni diritti e di talune libertà. Tale strumento non deve essere valutato da parte degli Occ e della Magistratura come una scappatoia per non far fronte ai propri debiti, ma come uno strumento valido per un momento economico in cui, all’apparenza, si ha la sensazione che l’economia stia ripartendo, ma di fatto, la situazione di disagio economico, lavorativo e finanziario diventa sempre più pregnante.

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Referente, avv. Cira Di Feo

Organismo della composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Comune di Lenola, referente dr. Marco Valerio Rosato

Qui sotto viene riportato il provvedimento in oggetto

Nuovo Provvedimento Sospensione Esecuzione

SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELL’ ESECUZIONE IMMOBILIARE IN PENDENZA DI PROCEDURE AI SENSI DELLA LEGGE 3.2012: UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE CONSEGUENZE DERIVANTI DALLA CRISI ECONOMICA

 Ai sensi dell’Art. 12-bis della legge 3.2012, il giudice designato per la procedura di sovraindebitamento, in particolare, nel caso del piano del consumatore, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli artt.  7, 8 e 9 e verificata l’assenza di atti in frode ai creditori, fissa immediatamente con decreto l’udienza, disponendo, a cura dell’organismo di composizione della crisi, la comunicazione, almeno trenta giorni prima, a tutti i creditori della proposta e del decreto. 

Tra il giorno del deposito della documentazione di cui all’art. 9 e l’udienza non devono decorrere più di sessanta giorni.  Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo.

In data 8 Maggio 2020, il giudice dr. Marco Pietricola del Tribunale di Latina, verificato che la proposta presentata dal gestore della crisi avv. Cira Di Feo soddisfasse i requisiti di legge e non fossero presenti atti in frode ai creditori, fissava successiva udienza con i creditori, dando termine per la notifica e sospendeva la procedura esecutiva immobiliare pendente presso il medesimo tribunale.

Facciamo un passo indietro.

La procedura di sovraindebitamento nasceva da una opposizione a precetto e pignoramento, notificata alla debitrice che si era vista impossibilitata a saldare le rate di un contratto di mutuo, per l’acquisto di un immobile come prima casa, a causa della perdita del lavoro.

In considerazione della difficoltà nell’adempimento, la debitrice e il suo avvocato si rivolgevano all’organismo della composizione della crisi di Lenola, accreditato al n. 97 del registro degli O.c.c., sezione B. Il referente dell’Occ, vista l’istanza nominava quale gestore della crisi l’avv. Cira Di Feo che, dopo aver interloquito con la parte e il suo difensore e acquisito la documentazione, depositava proposta di piano del consumatore, chiedendo la sospensione dell’esecuzione della procedura esecutiva immobiliare in corso. Il giudice disponeva l’apertura della procedura e la sospensione della procedura esecutiva, nonché fissava udienza con i creditori.

Di fatto, nella fase di apertura della procedura da sovraindebitamento, al debitore viene consentita l’attivazione di una sorta di procedimento cautelare atipico, che si svolge inaudita altera parte,  basato sia sulla fondatezza dei presupposti di ammissibilità, che sulla consapevolezza che nel caso che il bene fosse esecutato la procedura non avrebbe ragione di esistere e il debitore rimarrebbe privo di tutela.

Va precisato che il divieto di prosecuzioni delle esecuzioni individuali nella disciplina del sovraindebitamento è previsto come automatico nel caso dell’accordo di composizione della crisi e della liquidazione dei beni.

Tali procedure ai sensi degli artt.  7 e ex art. 14-ter prevedono il blocco automatico di tutte le azioni esecutive e tale blocco viene conosciuto come automatic stay, riprendendo quanto previsto dall’art. 168 l.f.,: «Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore».

Di fatto, la sospensione di ogni procedura esecutiva nel caso della liquidazione del patrimonio opera all’atto dell’emissione del decreto di apertura della procedura, mentre nel caso dell’accordo con il decreto di ammissione e di fissazione dell’udienza il giudice «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili».

Il divieto resta operativo fino alla chiusura della procedura e resta in essere anche successivamente all’omologa, non prevista nel caso della liquidazione.

Tutti gli atti esecutivi eventualmente compiuti in pendenza di sospensione restano improduttivi di effetti, anche nel caso in cui il piano non venga omologato, e affetti da nullità. In caso di violazione del divieto in discorso, da parte di uno dei creditori, il debitore può senz’altro proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione e sollecitare l’intervento del giudice titolare della procedura di sovraindebitamento.

 Nel piano del consumatore, invece, non esiste un divieto generale e automatico per le eventuali azioni esecutive, infatti il debitore può soltanto chiedere al giudice la sospensione di determinate esecuzioni già pendenti, specificamente indicate nel ricorso e nella relazione, come nel caso del provvedimento in oggetto e commentato.  

Più precisamente, ai sensi dell’art. 12-bis comma 2 «Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo».

Il potere del giudice viene esercitato in modo discrezionale.

Contro il decreto del giudice, in caso di rigetto dell’istanza di inibitoria, può essere proposto reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c., nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento (art. 10 comma 6).

Nel caso in cui vi sia una esecuzione già pendente e si depositi davanti al giudice dell’esecuzione un’istanza di sospensione, prima che il giudice competente per il sovraindebitamento si pronunci sull’ammissione della procedura, è abbastanza difficile che il giudice della esecuzione disponga la sospensione.

Di fatto, all’atto dell’emissione del provvedimento di sospensione esso viene comunicato dalla cancelleria del giudice fallimentare alla cancelleria del giudice dell’esecuzione, ed è opportuno che i legali provvedano a caricare il provvedimento nel fascicolo telematico della esecuzione immobiliare. Il giudice dell’esecuzione, preso atto del provvedimento del giudice della procedura ai sensi della legge 3.2012, dispone la sospensione della procedura esecutiva.

E’ possibile avviare la procedura ed ottenere la sospensione della esecuzione fino al decreto di trasferimento dell’immobile.

Va precisato che la sospensione della procedura opera dall’emissione del provvedimento fino alla omologa del piano o alla mancata emissione del provvedimento di omologa. Nel primo caso la procedura esecutiva immobiliare viene dichiarata estinta, mentre nel secondo caso la procedura esecutiva immobiliare riprende dallo stato in cui era intervenuta la sospensione. Ne deriva che, il provvedimento ad oggi ottenuto ha natura interlocutoria.

Anche qualora l’unico creditore desse parere negativo, il giudice potrà disporre comunque l’omologa del piano ove ne ravvisi i presupposti.  

Alcuni operatori del settore, ritengono sia normale conseguire le procedure di sospensione dell’esecuzione, ma non sempre è così.

Presso molte sezioni di Tribunale appare difficoltoso ottenere provvedimenti simili, perché anche li dove vi sia meritevolezza da parte del debitore e vi sia una congrua alternativa liquidatoria, molti giudici tendono ancora a rigettare le richieste di sospensione e di omologa, non sempre condividendo lo spirito della norma o magari, partendo prevenuti nei confronti del debitore che viene spesso additato come colpevole e responsabile del suo inadempimento.

Di certo, come ben sappiamo, anche alla luce della attuale situazione economica, non sempre è così. La procedura di sovraindebitamento oltre a porre attenzione alle norme e alle procedure, pone altresì attenzione ai fatti e a quanto avvenuto nel passato, alla genesi del debito, distinguendo l’indebitamento colpevole, non colpevole e derivante da subito reato, come definisce l’Unione Europea. Ovviamente, tale approccio è tipico di quella impostazione che considera la procedura di sovraindebitamento non come una delle tante procedure fallimentari, ma come una procedura di composizione della crisi tra debitore e creditore, intendendo la composizione della crisi come ricerca di accordo tra debitore e creditore per comporre il contrasto insorto tra le parti.

Spesso, infatti, si giunge alla procedura di sovraindebitamento in seguito ad un inadempimento contrattuale, sfociato in un atto di precetto e successivo pignoramento le cui opposizioni, spesso, non sono basate su motivi giuridici sempre avallabili e condivisibili da parte del giudice, di contro ad elementi di fatto che, difficilmente potrebbero essere contestabili.

La perdita del lavoro, la liquidità derivante dall’erogazione del TFR, la presenza di un garante fino alla sottoscrizione di un contratto di lavoro, l’impegno a voler conservare la prima e unica casa di abitazione, il non aver sottoscritto altri finanziamenti nella consapevolezza di non poterli onorare sono tutti elementi che devono essere oggetto di valutazione da parte del giudice che, in un contesto del genere è chiamato a tener conto non solo della norma, ma anche delle posizioni, degli interessi e dei fatti. Ovviamente, toccherà al gestore della crisi avere il giusto approccio con le parti e motivare adeguatamente la propria relazione, allo scopo di creare una situazione di tutela del debitore, consentendogli di conservare la prima casa e di ottenere una riduzione del prezzo e un allungamento del piano di ammortamento e la tutela del creditore non offrendo una somma che non sia conveniente rispetto alla alternativa liquidatoria o che tenga conto della valutazione dell’immobile.

Molti avvocati risponderanno che, nella prassi si può giungere a ciò anche attraverso le transazioni con gli NPL, dimenticando in quel caso, i tempi per concludere le transazioni devono essere limitati i piani di rientro brevi e si deve disporre di disponibilità economica immediata, per effettuare il pagamento di un acconto.

In una situazione economica come quella attuale, per tanti sarà indispensabile tutelare la prima casa: è per tale motivo che invito i colleghi avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, ragionieri a consigliare in questo senso chi rischi di perdere l’immobile di proprietà, evitando di far affrontare vari giudizi per cercare di allungare la durata del processo e di allontanare quello che potrebbe essere uno spettro per il debitore.

La soluzione del piano del consumatore appare ancora più vantaggiosa anche per il legale che, nell’ambito del piano, viene messo in prededuzione in ordine ai pagamenti.

Inoltre, qualora venisse raggiunto un accordo tra le parti, di contro al valore di una transazione, che libererebbe il debitore solo da quel debito, il piano omologato avrebbe l’effetto esdebitatorio per il debitore, liberandolo per l’importo totale di tutti i debiti inseriti in piano.

OMOLOGA DI PIANO DEL CONSUMATORE: DEGRADABILITA’ CREDITO IPOTECARIO A CHIROGRAFARIO ED ESCLUSIONE PRIVILEGIO PROCESSUALE PER CREDITORE FONDIARIO

[vc_row][vc_column width=”2/3″][vc_single_image image=”2645″ img_size=”full”][vc_empty_space][vc_column_text]Con provvedimento del 22.12.2017, il Giudice delegato del tribunale di Mantova, dott. Andrea Gibelli accoglieva la richiesta di omologa del piano del consumatore, avente ad oggetto:

  • la falcidia dell’importo dovuto al creditore ipotecario e ai chirografari;
  • la previsione di un piano di rientro decennale;
  • una alternativa meno conveniente rispetto a quella liquidatoria.

Il ricorso di accesso alla procedura di sovraindebitamento aveva avuto genesi da una esecuzione immobiliare intentata dalla banca nei confronti del debitore, impossibilitato a far fronte al pagamento del mutuo, per cause non dipendenti dalla sua volontà.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]L’attivo della procedura era rappresentato dall’immobile oggetto di esecuzione ed un reddito da lavoro dipendente, col quale sostenare un nucleo familiare di quattro persone, di cui due minori.

Il creditore contestava la convenienza del piano opponendosi all’omologazione, evidenziando l’inammissibilità della richiesta stante l’esigenza di tutelare i creditori ipotecari e che l’adempimento avvenisse su base rateale al massimo entro sette anni, e non entro dieci anni come proposto dall’o.c.c. nominato.

Inoltre, la banca eccepiva che un piano cosi delineato ledesse il diritto della banca a procedere ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 41 del D.lgs. 385/93 e successive modificazioni.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Il giudice osservava che:

  1. Ai sensi dell’art. 7 della legge 3.2012 è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo del valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli o.c.c.  Il piano prevedeva che il debito verso il creditore ipotecario venisse degradato a chirografario per la parte eccedente il valore dell’immobile oggetto d’asta, raggiunto nell’ambito della procedura esecutiva a seguito di vari esperimenti di vendita;
  2. La disposizione di cui all’art. 12 ter comma primo Legge 3.12 vieta ai creditori di iniziare o proseguire azioni individuali sul patrimonio del debitore il cui piano sia stato omologato, non ammette deroghe;
  3. Il giudice valuta il sacrificio dell’istante equilibrato, soprattutto considerato che la causa dell’indebitamento sia rinvenibile unicamente nell’aumento dell’importo della rata di mutuo e la perdita di lavoro della moglie.

[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Tale provvedimento assume rilevanza poiché, presso alcuni tribunali d’Italia i giudici tendono ad omologare i piani che:

  1. Prevedano rientri con una durata non superiore ai 5/7 anni;
  2. Non prevedano la falcidia dei crediti privilegiati e, soprattutto, tendono a non sospendere le procedure esecutive li dove vi siano creditori ipotecari e privilegiati, sulla base dell’assunto che la sospensione possa rappresentare un limite al diritto del creditore.

Orbene, il giudicante di Mantova ben comprende che la legge 3.2012 non è la legge fallimentare e che alla procedura di sovraindebitamento non possa essere applicata la stessa normativa di cui alla legge fallimentare, errore in cui incorrono, invece, la maggior parte dei gestori della crisi e dei giudici.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Come in più occasioni definito dalla Commissione Europea e dalle istituzioni comunitarie, la normativa in materia di insolvency, quindi anche la legge 3.2012 ha lo scopo di tutelare quei debitori che siano incorsi in uno stato di sovraindebitamento incolpevole, riconoscendo quando vi sia una responsabilità da parte della banca e della finanziaria, senza lasciarsi condizionare dai cosiddetti poteri forti. La legge nasce, infatti, con l’intento di venire in soccorso ai sovraindebitati, non di rappresentare una ulteriore forma di tutela per il sistema bancario e creditizio.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Tale provvedimento, in maniera estramente lineare ed essenziale, indica quindi quelle che debbano essere le linee guida nella gestione di un piano di sovraindebitamento e nella successiva omologa.
Il piano del consumatore attribuisce al giudice e al gestore una funzione estremamente delicata ed interconnessa, poiché essi non dovranno eccedere ne’ nel mero rigorismo contabile e formalismo processuale, favorendo l’istituto bancario, ne’ nell’eccessivo lassismo, onde evitare l’accesso alla procedura anche da parte di soggetti non meritevoli.

Ne deriva, quindi, che gestore della crisi e giudice, nella complessità della procedura di sovraindebitamento dovranno saper realizzare un contemperamento tra gli interessi del debitore e del creditore che, dovrà assicurare un giusto equilibrio tra diritto ed elasticità nella gestione della complessità delle problematiche.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Da una analisi con visione programmatica del provvedimento a cui ci siamo riferiti, discende una valutazione in più occasioni evidenziata dalla scrivente, ossia, quella della necessità dell’utilizzo della procedura di sovraindebitamento e, ove possibile della mediazione, nel caso di insolvenze, sofferenze e crediti deteriorati di non facile recupero per gli istituti bancari.

Anche le banche, sulla base delle nuove linee guida della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea, dovranno infatti imparare a negoziare e ad utilizzare quegli strumenti che consentano il recupero del credito, secondo criteri di economicità, efficacia ed efficienza, poiché procedure che vengono gestite per anni ed anni, con immobili inveduti rappresentano un aggravio per i bilanci delle banche, costi per il sistema giudiziario ed un danno per i consumatori e gli imprenditori.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Di certo, allo scopo di favorire la diffusione di tali strumenti, si rende necessaria la fase della informazione e formazione nei confronti degli operatori economici e giudiziari affinché comprendano la diversità tra procedura esecutiva e di sovraindebitamento, e soprattutto che,i problemi non si risolvono con cessioni di credito indiscriminate o gestione crediti da parte di personale non adeguamente formato, ma solo attraverso professionalità che conoscano il mondo bancario e creditizio, nonché le potenzialità degli strumenti del sovraindebitamento e del med arb.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][stm_sidebar sidebar=”527″][/vc_column][/vc_row]

Banca condannata per mancata partecipazione a procedura di mediazione

[vc_row][vc_column width=”2/3″][vc_single_image image=”1809″ img_size=”full”][vc_column_text]Interessante sentenza in materia di rapporti bancari, contenente condanna alle spese nei confronti della banca che non ha partecipato alla procedura di mediazione. Il giudice definisce che non c’è discrezionalità nella condanna….un approccio che merita doverosi approfondimenti e che ha bisogno di una continuità.

Riportiamo di seguito la sentenza.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]

Tribunale Ordinario di Verona

Terza Sezione Civile Il Tribunale,

in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di I Grado iscritta al N. /2015 R.G. promossa da: S.R.L. rappresentata e difesa dall’avv. C C Attrice contro Banca Cconvenuta

Conclusioni parte attrice anche in via istruttoria come da memoria ex art. 183 Vi comma n. 2. c.p.c. e come da verbale di udienza del 21 gennaio 2016[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]Parte convenuta: Come da comparsa di costituzione e risposta.

Motivi della decisione s.r.l. ha convenuto in giudizio Banca per sentirla condannare alla restituzione in proprio favore delle somme addebitatale nel corso del rapporto di conto corrente acceso in data 7 giugno 2007 a titolo di interessi ultralegali, anatocistici, usurari nonché di commissione di massimo scoperto e spese.

A sostegno di tale domanda l’attrice ha dedotto che il contratto suddetto era stato concluso senza osservare il requisito della forma scritta e che in ogni caso la commissione di massimo scoperto applicata era nulla per difetto di causa e che le erano stati applicati interessi debitori superiori al tasso soglia. La srl ha anche svolto domanda di condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti per effetto delle predette condotte.

La convenuta si è costituita in giudizio e in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità della domande di controparte atteso che essa, con scrittura privata del 9 ottobre 2013, aveva riconosciuto di essere debitrice di Banca in relazione al succitato rapporto della somma di euro 134.751,04 e aveva rinunciato espressamente all’esercizio di qualsiasi eccezione o contestazione.

Con riguardo al merito la Banca ha resistito alla domanda avversaria con puntuali deduzioni sia in punto di fatto che in punto di diritto. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti deve innanzitutto rilevarsi l’inammissibilità della domanda di condanna avanzata dall’attrice alla luce della circostanza incontestata che il rapporto di conto corrente per cui è causa è ancora in essere.

Sul punto occorre rammentare che la domanda di ripetizione di indebito del correntista nei confronti della banca è concepibile solo una volta che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale. (cfr. ex plurimis Tribunale di Catanzaro, 5 aprile 2016; Tribunale di Agrigento 14 marzo 2016; Corte d’Appello di Torino, Sez. I, 15 febbraio 2015, n. 214; Trib. Alessandria 4 maggio 2015; Corte d’Appello di Torino, 12 dicembre 2014).

A rapporto pendente invece l’annotazione in conto di una posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito di quest’ultimo, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della banca.

La conseguenza è che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli). Resta quindi da valutare la domanda di accertamento dell’illegittimità degli addebiti.

L’esame di essa è però precluso dalla circostanza che l’attrice il 9 ottobre 2013 ha sottoscritto un piano di rientro contenente il riconoscimento di debito e la rinuncia menzionate dalla convenuta (cfr. doc. 9 di parte convenuta) e qualificabile a tutti gli effetti come transazione. Sul punto parte attrice ha sostenuto che tale atto è nullo perché avente ad oggetto un titolo nullo ex art. 1973 c.c.

Nella fattispecie la nullità investirebbe, secondo l’attrice, i contratti “a monte”, vale a dire il contratto di conto corrente viziato, a suo dire, perché stipulato senza osservare il requisito della forma scritta e perché contenente la pattuizione di condizioni usurarie. Orbene, la doglianza relativa alla inosservanza del requisito della forma scritta ad substantiam è però drasticamente smentita dalla copia del contratto di conto corrente che è stata prodotta in atti (doc. 3 di parte convenuta) atteso che essa reca in calce la sottoscrizione del funzionario di banca. L’attrice ha dedotto che il contratto non è stato sottoscritto in tutte le pagine dal proprio legale rappresentante e dalla convenuta ma il rilievo è irrilevante in difetto della contestazione della corrispondenza delle previsioni contenute nelle pagine non sottoscritte a quelle effettivamente pattuite.

Parimenti irrilevante, oltre che tardiva, è poi la doglianza che l’attrice ha svolto solo in comparsa conclusionale circa l’illeggibilità della sigla apposta sulla prima pagina del contratto di affidamento del 30 maggio 2008 e su quelli successivi, atteso che essi non sono stati oggetto di censura alcuna da pare della srl. Peraltro tali contratti recano tutti in calce la apposizione di una firma per autentica della sottoscrizione della srl di un funzionario di banca.

Per quanto attiene poi all’assunto relativo alla pattuizione di interessi usurari esso è innanzitutto contraddittorio rispetto a quello in punto di difetto di forma scritta e non condivisibile sotto il profilo metodologico atteso che ad avviso di questo giudice è perfettamente legittima, anche per il periodo antecedente il 1.1.2010, la metodica seguita da Banca d’Italia fatta oggetto di recepimento nei vari D.M. destinati alla determinazione del c.d. tasso-soglia, e ciò alla luce del chiaro disposto dell’art.2 bis della L. 2/2009.

In ogni caso il rilievo non osta al riconoscimento della piena validità anche sul punto dell’accordo transattivo dovendosi escludere il carattere di essenzialità delle clausole afferenti le condizioni regolatrici degli interessi, secondo il puntuale e condiviso insegnamento di Cass. 31.5.2012 n. 8776 secondo il quale: “La nullità della transazione su titolo nullo ex art. 1972 c.c. non consegue alla nullità di singole clausole del contratto base, se di esse non risulti, ai sensi dell’art. 1419 c.c., l’essenzialità rispetto al contratto stesso.

(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, dichiarate nulle le clausole di commissione massimo scoperto, rinvio agli usi su piazza e anatocismo inerenti ad un contratto di conto corrente bancario, aveva esteso la declaratoria di nullità alla transazione intervenuta sul medesimo contratto, omettendo di verificare se, nell’economia di quest’ultimo, le clausole nulle fossero essenziali) )”; Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico dell’attrice in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.

In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per la fase istruttoria e per la fase decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 50 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione ad una udienza mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza.

Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata.[/vc_column_text][vc_empty_space height=”52px”][vc_column_text]La convenuta va però condannata, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis d. lgs. 28/2010, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato, dal momento che non ha partecipato al procedimento di mediazione svoltosi ante causam, come risulta dal relativo verbale che è stato prodotto dall’attrice, e di tale sua scelta non ha fornito alcuna giustificazione. Sul punto giova evidenziare che la sanzione pecuniaria prevista da tale norma va irrogata dal giudice, senza che gli sia consentito nessun ambito di discrezionalità né sull’an né sul quantum dell’applicazione, a qualsiasi delle parti non abbia partecipato alla procedura stragiudiziale senza giustificato motivo, compresa quella vittoriosa nel conseguente giudizio. Ciò è chiaramente desumibile sia dal tenore letterale della previsione che dalla sua funzione che è quella di indurre le parti a partecipare al procedimento di mediazione e quindi a servirsi di uno strumento che può evitare il giudizio.

P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, dichiara inammissibile la domanda di condanna avanzata dall’attrice, rigetta le restanti domande attoree e per l’effetto condanna l’attrice a rifondere alla convenuta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 8.705,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Visto l’art. 8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010 condanna la convenuta al pagamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di euro 518,00.

Verona 2/05/2017

Giudice Dott. Massimo Vaccari[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][stm_sidebar sidebar=”527″][/vc_column][/vc_row]

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