Italia: Analisi del rischio Paese e prospettive future di crisi economica

Da fonti di Confcommercio risulta che in un anno siano state chiuse circa 305mila partite iva, alla data del 28.12.2020.

Le Camere di Commercio, a loro volta, hanno specificato che delle 240.000 partite iva sparite dal mercato, a causa della pandemia, la riduzione del tessuto produttivo è risultata particolarmente accentuata nei settori dei servizi di mercato e del commercio.

Nel dettaglio, i servizi di mercato appaiono ridotti in una percentuale del 13,8% rispetto a quelli erogati nell’anno 2019. Le maggiori perdite in questo settore si sono registrate ai danni delle agenzie di viaggio (-21,7%), del settore della ristorazione, bar e ristoranti (-14,4%) e nel settore della logistica e dei trasporti (-14,2%).

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Nel settore del commercio la perdita, invece, appare più contenuta, ma comunque incisiva, ed è pari all’8,3% rispetto ai servizi del commercio erogati nel corso dell’anno 2019. Nel dettaglio, si riscontrano notevoli perdite nel settore dell’abbigliamento e delle calzature (-17,1%), nel settore della vendita degli ambulanti (-11,8%) e della distribuzione di carburante (-10,1%).

Sempre grazie alle osservazioni e rilevazioni delle Camere di Commercio, si evidenzia che tutta la filiera del tempo libero, delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento hanno fatto registrare un vero e proprio crollo, realizzatosi nella cessazione di una partita iva su tre.

Nel settore turistico, alberghiero, fieristico e dello spettacolo (cinema e teatri) il crollo delle attività ha carattere verticale, soprattutto per le grandi strutture che hanno dovuto far fronte ad ingenti costi fissi, senza aver usufruito di alcun ricavo e di rari ristori, di minimo valore.

Non vanno dimenticati, poi, i lavoratori autonomi, professionisti ordinistici e non ordinistici, operanti nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, di amministrazione e servizi, artistiche, di intrattenimento, divertimento e altro per i quali si prevede la chiusura di circa 200.000 mila partite iva, sia a causa della diminuzione del fatturato che, in taluni casi, della totale interruzione delle attività svolte.

Pensare che ogni partita iva cessata equivale ad una unità personale ed economica è errato. I numeri, infatti, vanno moltiplicati almeno per due, in quanto, ogni struttura si avvale di almeno un dipendente o consta di due titolari o di un amministratore e un direttore tecnico, che ha seguito le stesse sorti della partita iva principale. Ne deriva che ad numero di circa 440.000 mila partite iva rese inattive corrisponderanno altrettanti dipendenti o collaboratori che dalle schiere dei lavoratori dipendenti o dei collaboratori occasionali, si ritroveranno a nutrire le già folte schiere dei disoccupati.

Queste schiere tenderanno ad aumentare sempre più, senza attendere la fatidica data del blocco dei licenziamenti prevista per marzo 2021, poiché molti dipendenti resteranno senza lavoro prima di quella data, a causa della diminuzione della produttività e di gravi perdite economiche presso stabilimenti produttivi e centri commerciali. Basti pensare al  caso dell’Auchan di Nola e Pompei ( circa 154 persone licenziate in un mese ).

Altri dipendenti saranno licenziati in virtù di dimissioni firmate in bianco, all’atto dell’assunzione, ed altri ancora perché le aziende verranno poste in liquidazione.

Nel caso in cui le aziende siano sottoposte a procedure di insolvenza o concorsuali, i dipendenti dovranno attendere che si compiano gli iter delle procedure, l’approvazione dello stato passivo e la valutazione dell’attivo e forse riuscire ad ottenere il pagamento grazie alle disponibilità aziendali. Di fatto, nella maggior parte dei casi, occorrerà attendere l’intervento dell’Inps, attraverso il fondo di garanzia a tutela dei lavoratori che non abbiano beneficiato degli ultimi stipendi e della erogazione del trattamento di fine rapporto.

Molte imprese, infatti, pur avendo il dovere di procedere all’accantonamento delle quote di TFR non avendovi provveduto a tempo debito, non saranno in questo momento in grado di onorare i propri impegni, per cui, assisteremo all’instaurazione di centinaia di processi innanzi ai giudici del lavoro, allo scopo di ottenere il pagamento delle somme dovute. Giudizi, questi, nei quali spesso subentreranno le curatele fallimentari o che saranno destinati a concludersi con una sentenza alla quale non si riuscirà a dare esecuzione, poiché il soggetto imprenditoriale, a fine giudizio, sarà stato soggetto a liquidazione giudiziale.

Ne deriva che, in questi casi, spetterà all’Inps intervenire col fondo di garanzia, su istanza di parte, per corrispondere il trattamento di fine rapporto ai lavoratori che, a causa di vicende aziendali particolarmente delicate, non siano riusciti ad ottenere il pagamento di quanto dovuto.

Si tratta dello stesso Inps che, con le sue istituzioni ed i suoi fondi di derivazione nazionale ed europea, tra cui lo Sure, dovrà intervenire per assicurare l’erogazione delle casse integrazioni straordinarie ed ordinarie per i lavoratori dei settori che abbiano risentito maggiormente della crisi e abbiano subito un calo o addirittura l’assenza totale di fatturato, nonché per sostenere i titolari di partita iva attraverso l’erogazione di sussidi una tantum.

Di contro a tali erogazioni di carattere straordinario, l’Inps sarà tenuto a corrispondere le naspi, il reddito di cittadinanza e il cosiddetto reddito di emergenza, gli stipendi e le pensioni ai dipendenti pubblici e le pensioni dei dipendenti privati.

Ciò non rappresenterebbe alcun problema se non si valutasse che le entrate derivanti dal pagamento dei cosiddetti contributi previdenziali, sia in conseguenza di moratorie correlate all’evento epidemico, che in virtù di aiuti all’occupazione, concretizzatisi negli sgravi previdenziali, e il mancato pagamento di cospicue somme da parte di imprese che si trovano in difficoltà o che hanno cessato le proprie attività, senza sanare le proprie posizioni debitorie, hanno comportato una notevole riduzione per le entrate dell’Inps stesso.

Il quadro è allarmante e preoccupante sia da un punto di vista economico che sociale, poiché, molte piccole e medie imprese italiane, a gestione familiare, si sono viste costrette a cessare le attività o lo faranno a breve, determinando una disoccupazione generazionale che, nel caso di imprenditori 40/50 enni comporterà la nascita di aree di disoccupazione ed inoccupazione per le quali, gioco forza, sarà necessario l’intervento con ammortizzatori sociali da parte dello Stato, perché non sempre vi saranno i tempi per la riqualificazione e la ricollocazione professionale.

Le imprese familiari hanno da sempre svolto un ruolo determinante nell’economia nazionale e nelle economie locali, perché, grazie alla collaborazione in essa fornita dai membri dello stesso nucleo familiare, esse consentono la sopravvivenza dignitosa di uno o più nuclei familiari. Venendo meno tale tipologia di imprese, non solo le famiglie non potranno più mantenere il pregresso tenore di vita, ma soprattutto, spesso non si potrà consentire ai figli di proseguire percorsi universitari o di stage in Italia o all’estero.

A ciò va aggiunto che, nel caso di perdita di anziani genitori che rappresentavano un sostegno per la maggior parte degli italiani, l’assenza di una entrata fissa, rappresentata dalla pensione, per la maggior parte delle famiglie italiane non solo comporterà la impossibilità di far fronte ai costi di mutui, finanziamenti e prestiti stipulati in precedenza, quanto lo scivolamento della povertà più assoluta.

Ad ogni azienda cessata corrisponde un amministratore, un dipendente, un consulente fiscale ed un consulente del lavoro e, soprattutto, corrisponde un carico tributario non onorato che, nel caso in cui il titolare o i titolari siano incapienti, non potrà essere mai riscosso, con perdite enormi da parte dello Stato, sia in termini di spese e tempi di recupero, che di mancato recupero.

Ma, in epoca Covid-19, come la piccola e media impresa giunge all’anticamera della cessazione o alla cessazione, alla chiusura?

Ci sono comparti come quello turistico e alberghiero che, dal mese di febbraio hanno avuto un’attività limitata unicamente ai mesi di luglio, agosto e la prima settimana di settembre 2020, dopo di che non hanno più operato.

Il settore fieristico, invece, è rimasto fermo dal mese di febbraio dello scorso anno.

Non vanno dimenticati centri sportivi, palestre, centri fitness, centri estetici che nonostante abbiano adottato misure di prevenzione come da legge e abbiano sostenuto rilevanti investimenti per assicurare i target di sicurezza, sono fermi dal mese di ottobre.

Per non parlare di bar, ristoranti, pub, pizzerie che in alcune regioni hanno potuto operare fino alle ore 18 e in altre regioni, addirittura, sono stati costretti ad effettuare un’attività unicamente da asporto.

Senza avere la certezza delle aperture e degli incassi, gli imprenditori si sono trovati a dover sostenere in primis i cosiddetti costi fissi, dati dai canoni di locazione, dalle utenze commerciali e delle abitazioni private, che non hanno subito decurtazione alcuna. Inoltre, in molti casi, le casse integrazioni straordinarie sono state erogate in favore dei lavoratori con estremo ritardo, per cui, molti imprenditori si sono visti obbligati ad anticipare gli importi in favore dei lavoratori, con un grave pregiudizio, perché ad oggi vi sono dipendenti che ancora non hanno percepito la C.I.G relativa ai mesi estivi del 2020.

In merito ai sostegni riconosciuti dallo Stato, in taluni casi per alcune attività hanno avuto carattere una tantum, e in altri casi,sono stati quantificati in una percentuale pari al 33% della perdita del fatturato subito, facendo riferimento ad un determinato periodo.

Tuttavia, tali elargizioni non sono state tali da consentire agli imprenditori di far fronte ai costi di gestione e agli insoluti realizzatisi nel periodo di assenza della produttività e degli introiti.

In tale quadro di crisi economica e finanziaria, col Decreto di Marzo 2020, denominato Decreto Cura Italia, veniva disposta la moratoria per mutui, affidamenti, finanziamenti, prestiti e leasing fino a settembre 2020. Tale scadenza veniva successivamente prorogata al 31 dicembre 2020 e, di recente, come da ultima legge di bilancio, la proroga è slittata automaticamente al 30 giugno 2021.

Nonostante tale previsione normativa, molti istituti bancari non hanno consentito l’accesso alla moratoria sia alle imprese che ai privati, adducendo le motivazioni più varie, addirittura determinando disguidi e problematiche anche in relazione alla sospensione dei mutui prima casa.

Il medesimo Decreto Cura Italia prevedeva l’erogazione di finanziamenti, con garanzia statale, con scopo liquidità per consentire la continuità, in favore delle imprese solvibili e che non fossero state destinatarie di segnalazioni in data antecedente al 31 dicembre 2020.

Nonostante Banca d’Italia avesse indicato che i finanziamenti erogati con la garanzia statale non potessero essere stornati a copertura degli affidamenti, col rischio della perdita del beneficio del preammortamento per il cliente, molte banche hanno disatteso tale indicazione, utilizzando il meccanismo del ricatto legato alla conferma o revoca dell’affidamento a scadenza della moratoria, e quindi, sebbene le imprese avessero richiesto liquidità, in alcuni casi si sono ritrovate semplicemente a coprire gli affidamenti e le linee di credito e a non risolvere i problemi relativi alla continuità aziendale. Allo scopo di sopperire alla mancanza di fondi, molte aziende si sono viste costrette a stipulare ulteriori finanziamenti bancari ordinari o, addirittura, a fare ricorso all’usura.

A tutto ciò va aggiunto che, con Regolamento UE n. 171/2018 sulle tecniche di regolamentazione che riguardino la soglia di rilevanza delle obbligazioni creditizie in arretrato per banche e gruppi bancari, SIM e gruppi di SIM, sono cambiati i parametri per considerare il debitore inadempiente nei confronti delle banche e delle finanziarie.

Per essere considerati cattivi pagatori basterà davvero poco: se si superano i 500 euro in relazione a uno o più finanziamenti che rappresentano l’1% del totale dell’esposizione nei confronti della banca si parla già di “arretrato rilevante”, mentre per le persone fisiche e le piccole imprese bastano 100 euro.

È fondamentale, quindi, onorare con puntualità le scadenze di pagamento previste contrattualmente e rispettare il piano di rimborso dei propri debiti non trascurando anche importi di modesta entità, al fine di evitare la classificazione a default che rileva anche ai fini della segnalazione in Centrale Rischi di Banca d’Italia e comporta il blocco di tutte le linee di credito.

Una previsione in tal senso, oltre che apparire deleteria, diventa pericolosa per aziende che si trovano in situazione di presofferenza o che operano rasentando gli affidamenti e, di certo, un atteggiamento di buon senso da parte degli istituti bancari, e di massima collaborazione con la clientela appare indispensabile per favorire la sopravvivenza delle aziende.

Non può essere dimenticato, poi, l’annoso e già preesistente rapporto problematico tra imprese e agenzia della riscossione e gli enti impositori. Sebbene si sia parlato di sospensione nel pagamento di imposte e tasse, di fatto l’agenzia della riscossione ha sospeso la notifica degli atti tributari e disposto nuove scadenze per il pagamento delle rottamazioni, ma è rimasto l’obbligo del pagamento dei contributi dei lavoratori, delle ritenute d’acconto, dell’iva, delle tasse, degli acconti delle tasse, delle rateizzazioni frutto di avvisi bonari che, se non onorate, ne comportano la decadenza.

Alcuna modifica è stata apportata dalla normativa, sebbene la giurisprudenza sia di merito che di legittimità venga incontro all’imprenditore non colpevole dell’indebitamento, in ordine alle soglie di punibilità per il mancato pagamento di imposte e tasse.

Ne deriva che, gli imprenditori i quali non provvedano al pagamento di iva, contributi previdenziali e ritenute superando le cosiddette soglie di punibilità, potranno incorrere in reati tributari, con procedibilità d’ufficio, i cui esisti potrebbero pregiudicare anche l’accesso a talune procedure di insolvenza o sovraindebitamento.

Infine, ma non per minor importanza, ogni imprenditore sostiene mensilmente i costi di locazione degli immobili, qualora non siano di proprietà, i costi relativi all’approvvigionamento delle merci e delle materie prime, i costi relativi alla manutenzione dei macchinari, all’adeguamento agli standard urbanistici, sanitari ed epidemiologici che mal si conciliano con la diminuzione delle entrate, derivante dalla mancata collocazione e vendita di merci o dalla mancata erogazione di servizi, in conseguenza della riduzione dei consumi e della vendita dei beni.

Tale disequilibrio economico e finanziario ha determinato e continuerà a determinare inadempimenti contrattuali che, se non giustamente affrontati e valutati in sede giudiziaria, potrebbero generare titoli esecutivi tali da determinare procedure concorsuali e di insolvenza ai danni delle imprese, e procedure esecutive a carico di amministratori, soci e fideiussori.

Da segnalare, in tal senso, è la previsione normativa contenuta nel D.L. 23/2020,che all’art. 11 comma 1 che ha previsto l’improcedibilità delle istanze di fallimento depositate nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020. L’improcedibilità non è stata applicata per le istanze depositate dal Pubblico Ministero qualora accompagnate da richieste cautelari ex art. 15 L.F., di norma volte a tutelare il patrimonio del debitore da operazioni distrattive, nonché per le grandi imprese che soggiacciono alla normativa del D.L.347/2003 e successive modifiche (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza).

Diversa sorte invece è stata prevista per le istanze depositate prima del 9 marzo 2020, le quali hanno goduto della sola sospensione dell’attività giudiziaria prevista dal Decreto Cura Italia prima e dal D.L. 23/2020 poi fino al 30 giugno 2020.

Il “blocco” delle istanze di fallimento per un periodo così limitato ovvero sino al 30 giugno 2020 di certo non è stato in grado di neutralizzare gli inevitabili effetti dell’emergenza sanitaria sulle imprese e garantire la loro prosecuzione, soprattutto a far data dall’autunno 2020, periodo in cui, in conseguenza dell’adozione di ulteriori misure restrittive le imprese hanno ulteriormente sofferto.

Altre misure a sostegno degli imprenditori e dei cittadini, ma pur sempre relative, sono state la sospensione dei protesti e la proroga per il rilascio degli immobili, in caso di sfratto per morosità, fino al mese di giugno 2021.

Tale misura appare, però, monca se non accompagnata da aiuti per i conduttori e sgravi e bonus per i locatori, poiché i locatori si vedranno privati di entrate che, in questo momento storico potrebbero, per alcuni, essere le uniche entrate per sopravvivere.

Tali proroghe, non accompagnate da misure di sostegno in favore delle imprese, comporteranno che molti imprenditori potrebbero comunque nella impossibilità di saldare comunque quanto dovuto alla scadenza indicata da legge, e quindi, rischiare comunque il rilascio dell’immobile a causa della mancata ripartenza economica del paese.

Infine, per le imprese e gli imprenditori che si trovano in una situazione di sofferenza bancaria e che non hanno ottenuto la sospensione di finanziamenti, mutui e prestiti e soprattutto non hanno ottenuto i prestiti con garanzia statale, la situazione diventa ancora più complessa, poiché di contro al calo del fatturato, comunque esse dovranno far fronte ai medesimi costi e alle stesse uscite di natura finanziaria a cui facevano fronte in precedenza.

Gli operatori economici, giuridici e finanziari di settore sono ben consapevoli che, gli esponenti della media e piccola imprenditoria tendono ad identificare quale causa principale del collasso economico e finanziario delle imprese l’incertezza della programmazione e pianificazione aziendale, frutto dell’attuale momento economico e sanitario.

Il rischio di effettuare pagamenti in favore di fornitori e amministrazione finanziaria dello Stato e di ritrovarsi senza lavoro e senza introiti da un giorno all’altro, privi di liquidità e sostentamento per l’azienda e il proprio nucleo familiare ha rappresentato, poi, l’incubo ricorrente per la maggior parte degli imprenditori e continua tuttora ad esserlo.

Il calo delle entrate, la diminuzione del lavoro e dei flussi finanziari hanno determinato un aumento esponenziale della povertà, dato incontrovertibile provato dalle enormi file di persone che si formano dinanzi alla Caritas, alle associazioni di volontariato e alle chiese per chiedere aiuto o un piatto caldo e, contestualmente dall’aumento dei crimini comuni, quali rapine, furti e aggressioni.

A ciò va aggiunto che, appare netto che a pagare le conseguenze della crisi siano stati i cosiddetti ceti medi e che, un divario sempre più ampio, tra ceti abbienti e meno abbienti, generi problematiche non solo economiche, ma anche di di convivenza sociale.

Il cambiamento economico sociale dell’Italia e il suo tracollo, purtroppo, appaiono visibili anche all’estero: basti pensare che un noto giornale newyorchese ha dipinto Roma come una città abbandonata, dove i luoghi dell’arte sono assolati e solitari, le vie della moda costellate da boutique chiuse, le vie del centro abbandonate e con la maggior parte delle saracinesche abbassate e i vetri costellati da una marea di cartelli vendesi.

Viene da chiedersi: chi comprerà? Chi dispone e disporrà di liquidità, ma la liquidità, specie se ingente, non sempre è simbolo di legalità e in alcuni casi, se fosse di derivazione straniera, specie in alcuni asset particolari, potrebbe comportare la violazione della normativa del golden power o addirittura una violazione di talune norme nazionali e della Unione Europea.

Qualora, infatti, vi fossero acquisizioni nel settore della logistica, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni sarebbe auspicabile, anzi dovuto, un intervento di vigilanza e controllo allo scopo di tutelare non solo l’economia, ma anche la sicurezza dello Stato.

In ambito bancario, finanziario ed immobiliare poi, occorrerebbe, porre attenzione alla cessione e alla gestione degli NPL onde evitare che grandi colossi stranieri abbiano la possibilità di acquisire quote o istituti di credito, collocandosi sul mercato anche come intermediari immobiliari e finanziario-creditizi, attraverso i cosiddetti network e le reti di impresa o i gruppi di impresa.

Il settore del Made in Italy e i settori della ristorazione, del turismo, della ricezione, della cultura andrebbero tutelati da avventori stranieri che rischierebbero di ritrovarsi a gestire un patrimonio storico, culturale, artistico, produttivo prettamente italiano, addirittura privando l’Italia della propria storia ed identità, oltre che di un cospicuo giro di affari e di occupazione.

Un piccolo ma dovuto cenno va riservato ai professionisti, quali avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, architetti, periti, geometri, psicologi che si sono trovati a dover far fronte alla crisi settoriale e all’assenza di incarichi professionali, di introiti per mesi, beneficiando di irrisori bonus, senza adeguate tutele.

Molti professionisti si sono visti costretti a rinunciare all’iscrizione agli ordini professionali di appartenenza ed altri lo faranno a breve. Ebbene, occorre tutelare i professionisti dalle law firms e dai network stranieri che, già da tempo operano in Italia, e che potrebbero determinare una modifica del mercato delle professioni e la conseguenza scomparsa del piccolo professionista.

L’investitore offrirà lavoro e maggiore competitività al mercato, ma, forse, potrebbe non assicurare il pagamento del gettito tributario in favore del nostro Stato, sia optando per altre forme di fiscalità e domicili legali o decidendo, in seguito, di cedere le proprie quote ad altri gruppi e, conseguentemente, il recupero delle somme dovute all’amministrazione tributaria, potrebbe non più apparire cosi facile.

Tale crisi economica, finanziaria, produttiva e di fiducia che investe la piccola e media impresa italiana, in tutti i suoi comparti e in tutte le sue individualità, richiede l’adozione di misure adeguate per tutelare sia le realtà imprenditoriali, che i singoli soggetti che la compongono, che lo Stato Italiano.

Le situazioni di crisi economica, finanziaria, aziendale generano situazioni di conflitto tra le parti che, normalmente, sono costrette a rivolgersi all’amministrazione della giustizia per trovare una soluzione ai problemi occorsi, allo scopo di ottenere l’accertamento di un diritto e la tutela economica del creditore. In un momento economico come quello attuale, l’accertamento del diritto che prescinda dal contesto economico sociale potrebbe essere deleterio per il debitore che, qualora fosse stato inadempiente non per propria colpa, rischierebbe una procedura di insolvenza (ex fallimento), o sovraindebitamento o una esecuzione forzata. Al tempo stesso, il creditore rischierebbe di non veder mai soddisfatte le proprie pretese e di divenire debitore a sua volta.

Appare indispensabile, quindi, un cambio di paradigma e una nuova gestione della composizione della crisi, che consenta alle attività imprenditoriali di rimanere a galla e ai privati cittadini di non essere lasciati soli.

Occorre tener presente che, in tal senso, l’Unione Europea già dal 1998 ha posto attenzione alla tutela del consumatore, inteso come privato cittadino, e alla tutela delle imprese, con una serie di politiche comunitarie adeguate e l’adozione di provvedimenti a cui l’Italia non ha posto la dovuta attenzione.

Basti pensare alle direttive e ai regolamenti in materia di mediazione civile e commerciale e del consumo, enormemente sottovalutate sia dai professionisti che dalle istituzioni, e le direttive in materia di insolvenza transfrontaliera e di tutela del debitore, specie nel caso di incauta concessione del credito e dell’utilizzo delle clausole abusive.

Tali provvedimenti sono stati ratificati dall’Italia, ma non adeguatamente attuati, poiché essi delineavano un quadro di degiurisdizionalizzazione del conflitto e di gestione online delle controversie, poiché tali procedure possono essere gestite quasi interamente per via telematica.

E’ in tale ambito che gli obiettivi della diffusione delle A.D.R., della digitalizzazione e degli strumenti che indirettamente supportino la green economy possono e devono diventare lo strumento per sanare l’economia cadente e il volano per la sua ripresa.

Pensiamo alle imprese non fallibili, ai soci, agli amministratori, ai fideiussori, ai garanti, agli imprenditori agricoli, agli artigiani, alle imprese familiari, ai negozianti, ai piccoli e medi imprenditori.

La legge 3.2012 nota come legge salva suicidi o del sovraindebitamento, inserita nel decreto legge 14.2019 denominato come Codice della Crisi e della Insolvenza, di recente aggiornata, offre soluzioni valide per queste categorie che si ritrovino in una situazione di indebitamento o sovraindebitamento, anche nel caso in cui siano pendenti procedure esecutive mobiliari e immobiliari e di rilascio degli immobili.

La legge, infatti, prevede che possa esserci la ristrutturazione del debito per il consumatore, il concordato minore o accordo con i creditori per il titolare di partita iva ola liquidazione volontaria e controllata del patrimonio, come ultima ratio.

Obiettivo di tali procedure è ottenere una riduzione ed un dilazionamento del debito e la sospensione delle procedure esecutive in atto. Tali procedure vengono inizialmente gestite presso gli organismi della composizione della crisi, costituiti presso gli ordini di avvocati, commercialisti e notai, i comuni, le province, le regioni e i segretariati sociali,  i quali devono essere accreditati al Ministero della Giustizia.

Per le imprese fallibili le procedure previste dal codice della Insolvenza andranno a sostituire la vecchia legge fallimentare, favorendo il nuovo concordato e la liquidazione giudiziale. Le cosiddette procedure di insolvenza verranno gestite presso gli OCRI, organismi della composizione delle crisi di impresa tenuti presso le Camere di Commercio.

Per i debitori incapienti, addirittura, esisterà una procedura ad hoc che potrà essere attivata presso gli OCC, cosi come per le imprese familiari.

Indubbio è che, il distanziamento sociale e l’esigenza di smartworking presso la pubblica amministrazione abbiano rallentato il procedimento di formazione dei professionisti del settore e le procedure di accreditamento degli organismi della composizione della crisi da sovraindebitamento e degli Ocri presso le Camere di Commercio. Ciò, indubbiamente, comporterà un rallentamento nella gestione delle procedure di insolvenza per le srl sopra soglia, per le spa e le sapa e i grandi gruppi di impresa.

Di certo, tribunali, organismi della composizione della crisi e i costituendi Ocri si troveranno a dover gestire una mole notevole, anzi quasi fuori misura di procedure.

Ciò ci lascia comprendere come, soprattutto nel caso delle imprese fallibili, diventi utile dover tentare ancor prima di avere accesso alle procedure di insolvenza, la strada della negoziazione, della mediazione o dell’arbitrato tra debitore e creditore, allo scopo di evitare conseguenze peggiori, componendo il conflitto, mantenendo il rapporto contrattuale ed umano ed evitando la procedura fallimentare o di insolvenza.

A ciò va aggiunto che, le situazioni di crisi andranno valutate nella loro complessità, poiché non pochi imprenditori o soggetti privati potranno non accedere alle procedure, a causa dei requisiti fissati dalla legge e, pertanto, in alcuni casi sarà opportuno procedere con gli strumenti processuali ordinari, ma anche valutare le ipotesi di transazioni fiscali o rottamazioni.

Un tale approccio implica un cambio di approccio anche da parte dei magistrati, i quali saranno chiamati a tener conto del momento economico e a considerare un nuovo canone di meritevolezza e colpevolezza alla base dell’indebitamento che, in periodo Covid, non può essere addossato unicamente al debitore.

Da non sottovalutare poi il fenomeno dell’usura e dell’estorsione, nonché del ruolo delle associazioni a delinquere, purtroppo, emerso ulteriormente in questo periodo. poiché molti dei nuovi poveri, piccoli imprenditori e dipendenti del settore privato, si sono visti costretti a rivolgersi agli usurai per far fronte ad impegni che, altrimenti, non avrebbero potuto onorare o nella speranza di non perdere attività o immobili, con conseguenze spesso disastrose.

Infine, l’armonizzazione degli aiuti concessi dall’Unione Europea al nostro paese, una equa distribuzione degli stessi ed adeguati controlli sul rispetto della finalità di cui all’erogazione potrebbero, indubbiamente, consentire alle imprese di conseguire gli obiettivi di competitività e sviluppo ed assicurare la ripresa economica e sociale del paese.

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